Da più di due anni si parla assiduamente in Italia di Industry 4.0. Di cosa significhi e di come applicarla alle imprese italiane, attuando la trasformazione tecnologica e la modernizzazione necessaria per continuare a competere. Una ricerca svolta dall’università degli studi di Padova e da Considi, società di consulenza nel settore dell’Operation & Innovation management, effettuata in collaborazione con Cuoa Business School e l’incubatore d’impresa M31, ha interpellato 254 top manager italiani, cercando di capire non solo a che punto sia l’applicazione del 4.0 in Italia, ma anche quali siano le difficoltà nel percorso applicativo, quali i fattori organizzativi che meglio contribuiscono alla realizzazione del 4.0 e quali i migliori modelli di business applicabili.
In riferimento al livello di adozione di Industry 4.0, emergono dall’analisi quattro gruppi di aziende: i “non adopters”, la maggioranza relativa del campione, il 27,5%, cioè coloro che non conoscono o non sono interessati al 4.0; i “future adopters” (22,3%), cioè chi adotterà tecnologie 4.0 in tempi brevi; i “beginners” (25,7%), che hanno già all’attivo iniziative nell’ambito del 4.0; gli “adopters” (24,5%), ovvero chi ha già numerose iniziative nell’ambito del 4.0. In generale, i vantaggi che i top manager si attendono dall’adozione di Industry 4.0 sono molteplici: il 74% ha come priorità strategica il miglioramento dei processi produttivi e l’efficienza, il 61% vuole migliorare il servizio al cliente, il 25% mira ad adottare un nuovo modello di business.
«Oggi è tutto immediato, la tecnologia consente con investimenti anche contenuti di poter cambiare radicalmente le performance – commenta Fabio Cappellozza, presidente Considi -. Ovviamente prima va modificata organizzazione e mentalità. Digitalizzare ha senso quando abbiamo già ottimizzato il nostro modo di produrre, diversamente si rischia di digitalizzare sprechi». Le difficoltà non mancano: se da un lato c’è la necessità di cambiare modello di business, dall’altra non ci sono i business models. Inoltre, più del 50% del campione denuncia la mancanza di competenze, forse il problema più urgente, e la difficoltà a quantificare i benefici che possono derivare da ingenti investimenti in tecnologie e modelli 4.0.
All’interno degli stabilimenti presi in esame dallo studio università di Padova-Considi si analizzano anche i fattori organizzativi vincenti. La creazione e il controllo periodico del rispetto degli standard, ad esempio, è un metodo che gli adopters adottano nel 62% dei casi; la riduzione degli sprechi è un’altra formula vincente che viene applicata sia dagli adopters, che dai beginners, che dai future adopters. Il costante impegno per cambiare dinamicamente l’azienda per servire al meglio i clienti è testimoniato dall’83% degli adpters, mentre il 51% dichiara di adottare la settimana “kaizen”, momenti di condivisione e incontri regolari per il miglioramento continuo. Un ruolo fondamentale poi è il legame con l’esterno, cioè il networking con i centri di ricerca del territorio, le università, i consulenti, altre imprese innovative.
Ma, se è vero che il problema maggiore è attualmente quello delle competenze, è lì che oggi viene maggiormente concentrata l’attenzione. Il 51% degli adopters ha scelto di rafforzare le competenze per l’innovazione; il 46% di essi punta anche sulle competenze nelle tecnologie digitali; e quasi il 70% pensa che sia necessario una formazione continua e un continuo miglioramento delle capacità professionali.
In linea generale, dalla ricerca veneta emerge che i fattori organizzativi abilitanti per poter applicare Industry 4.0 riguardano quattro sfere: il lean management, i sistemi informativi, il networking, le risorse umane. Sono questi i punti cardine lungo i quali si snoda il percorso virtuoso che porta alla realizzazione della fabbrica 4.0. «Una postazione produttiva che adotta il Lean può aumentare l’efficienza fino al 50% – continua Cappellozza -, con la digitalizzazione questo aumento del margine aumenta di un ulteriore 30%. I dati sottostanti vengono immagazzinati e incrociati dai manager per le decisioni strategiche. Comprendere le condizioni in cui si produce, monitorare in real time le linee, acquisire le informazioni in diretta consente sia di aumentare la flessibilità produttiva, che di intervenire dove l’errore si manifesta e correggere. La digitalizzazione è come un termometro, rileva le informazioni, fornisce il dato e consente di indirizzare gli eventi sulla linea di produzione in tempo reale. Prima di Industria4.0 questi interventi richiedevano più tempo, una reattività molto minore e quindi in ultima istanza perdita di produttività che si vedeva sul conto economico o eccesso di magazzino che si vedeva sullo stato patrimoniale».
Articolo di Katy Mandurino
Fonte: Il Sole 24 Ore