A Nordest mancano 14 mila specialisti Ict ma la domanda resta inevasa Gubitta: «Si vince se i giovani “smanettoni” collaborano con gli over 50»
La sfida al mercato del lavoro, per le aziende del Nordest, si giocherà tutta nei prossimi cinque-dieci anni investendo in un viatico a doppio percorso: da un lato sulle nuove professioni Ict, quelle dei giovani “smanettoni”, i nativi digitali che non hanno alcuna esperienza effettiva di lavoro, e dall’altro sulla formazione “Qb”, quanto basta – come nelle ricette di cucina – per ri-skillare i dipendenti navigati.
Il passaggio più difficile sarà far convivere i giovani architetti del software, specialisti di Big Data o esperti di Cyber security e Cloud computing, con gli attempati operai, impiegati contabili e amministrativi “ritarati” in versione 4.0. «La priorità – spiega Paolo Gubitta, docente di Organizzazione aziendale all’Università di Padova e direttore dell’Osservatorio per le Professioni digitali della Regione Veneto – sarà aiutare le imprese a costruire uno scambio proficuo di competenze tra i Millennials freschi di laurea e i dipendenti, cinquantenni e oltre, che conoscono in profondità i processi produttivi dell’azienda dove lavorano». Si rende quindi necessario per questi ultimi «accelerare il reskilling», come si legge nell’analisi redatta dall’Osservatorio delle Competenze digitali Aica-Assintel-Assinform-Assinteritalia, mentre i giovani dovranno acquisire un’accurata formazione sulla gestione dei processi produttivi e relazionali. «Sarà importante spiegare alle società come trasferire le conoscenze da una risorsa all’altra, creando un clima collaborativo assicurando ai “vecchi” dipendenti che non saranno licenziati – precisa Gubitta – e formando “gli sbruffoncelli”, così vengono chiamati i capi giovani, sulla gestione dei processi e delle relazioni aziendali».
Gli sbruffoncelli, i capi giovani con digital skills elevati, saranno sempre più richiesti: nel triennio 2016-2018, secondo lo studio dell’Osservatorio, il fabbisogno di professionisti Ict in Italia è salito a 85 mila unità, di cui però 65 mila nuovi e 20 mila già dipendenti da riconvertire con logiche digitali. «L’innovazione di prodotti, processi e strategie aziendali – spiega Ruggero Targhetta, presidente di Confindustria Padova Servizi innovativi e Tecnologici – sta generando una domanda sempre crescente di nuove professioni Ict, che non riesce a essere soddisfatta dal numero di laureati o diplomati che escono ogni anno dal mondo della formazione». Nel Nordest la domanda annuale di competenti dell’ambito Ict ammonta a 13.800 professionisti (23% dell’intera offerta), domanda che spesso rimane inevasa per la difficoltà delle imprese di trovare i profili giusti nei tempi imposti dal mercato. Tra le professioni più ricercate dalle aziende di Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, al primo posto ci sono le richieste per i Service strategy (36%), seguono i System architect (27%) e i Test specialist (25%).
Quanto ai settori economici che formulano l’esigenza di nuove figure professionali digitali, sempre secondo l’analisi dell’Osservatorio, oltre allo scontato primo posto del comparto Ict (75%) ci sono il settore manifatturiero (10%) e le attività professionali (8%), che esprimono la necessità che mestieri non Ict come legali, commercialisti, addetti alle risorse umane e all’amministrazione si attrezzino comunque di adeguate competenze digitali.
«Nei prossimi anni – si legge nello stessa ricerca – costruire nell’ottica dell’Industria 4.0 sarà la priorità di molte aziende in particolare del settore manifatturiero. Le funzioni aziendali impattate dalla digitalizzazione, soprattutto sulla spinta del Mobile e dei social, sono state finora il Marketing, la Comunicazione e l’Assistenza Clienti. Ora si aggiungono anche i comparti Ricerca e Sviluppo, Progettazione e Vendite, e sempre più coinvolte dalla digitalizzazione saranno Produzione e Logistica». Una tendenza confermata ad esempio dal Politecnico dei calzaturieri del Brenta, dove la formazione si preoccupa di integrare un mestiere antico come quello del “calzoler” con i dettami dei nuovi skills digitali, per essere maggiormente competitivo e affrontare i mercati internazionali.
«Le aziende devono avere un modello di organizzazione sfidante – conclude Gubitta – e dotarsi di una formazione ricorrente, cioè successiva e per piccoli slot, che sia Qb, ossia quanto basta». Significa mettere a punto una formazione modulare tipo i mattoncini del Lego, dove si insegnano
solo le competenze digitali necessarie per migliorare caso per caso la professionalità di ciascun dipendente. Un esempio? All’idraulico si insegna a utilizzare la realtà aumentata, per poter fare consulenze da remoto e in real time
Fonte: Corriere delle Alpi