IL MONDO CHE CAMBIA
Siamo di fronte ad una nuova rivoluzione industriale, che viene descritta con immagini sempre più accattivanti di robot dagli occhi languidi e macchine umanoidi che sostituiscono uomini robotizzati.
Una rivoluzione però è qualcosa di più delle tecnologie che vengono introdotte. Cambia la produzione, cambiano i consumi, cambia la vita di ognuno di noi e nel contempo la vita di noi tutti insieme.
Il mondo cambia perché cambiano i confini che lo descrivevano.
Alla fine della Seconda guerra mondiale il mondo appariva diviso rigidamente in due grandi aree, con propri circuiti economici, politici e militari, mentre al margine ne rimaneva un Terzo mondo residuale e frammentato, qualificato genericamente come paesi in via di sviluppo o più banalmente arretrati.
Questo mondo contrapposto finisce con il secolo scorso, il tormentato ‘900, e proprio da quel Terzo mondo sono emersi nei primi anni di questo secolo nuove leadership che hanno riaperto i giochi, portando nell’economia mondiale produzioni e mercati fino ad allora sconosciuti.
Contestualmente emergono nuovi modi di porre in relazione le persone fra loro e queste con le imprese, con le istituzioni, con le università, internet ci ha cambiato, il telefonino ha cambiato i nostri modi di porci in relazione con il prossimo.
Il mondo per ognuno di noi è cambiato, anche perché ognuno di noi nella propria casa, in ogni momento, è informato di ciò che avviene dall’altra parte del mondo e ognuno di noi è al centro di una rete di relazioni in connessione continua con persone sparse nelle più diverse parti del mondo.
Ognuno di noi produce e consuma dati al punto che i dati diventano la nuova materia prima ed il nuovo collante di questa nostra società liquida.
I DATI COME NUOVA MATERIA PRIMA DELLA NUOVA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Alla base di questa trasformazione sociale sta un cambiamento profondissimo nella stessa struttura della produzione. Se il carbone era la materia prima della Prima rivoluzione industriale, e l’elettricità e poi il petrolio erano le commodities degli anni della produzione di massa, oggi le materie prime della nuova rivoluzione industriale sono i dati che ognuno di noi produce in continuazione, telefonando, andando in auto, accedendo ad internet, acquistando un bene o un servizio qualsiasi.
Egualmente rilevanti sono i dati che le istituzioni producono nelle loro funzione di amministrazione della vita collettiva; le scuole, gli ospedali, i tribunali ed ogni altro momento di gestione delle relazioni sociali ed economiche diventano produttori in continuo di informazioni sui comportamenti di ognuno di noi, tracciando le nostre azioni in ogni istante
ed in ogni momento possono offrire un quadro dei movimenti e delle trasformazioni dell’intera società.
Infine ci sono i dati che le imprese stesse generano, da quando un prodotto viene disegnato fino al momento in cui quello stesso prodotto viene acquistato dal consumatore finale, anzi fino ad accompagnare il consumatore stesso nel suo uso del bene, garantendone le manutenzioni e verificandone con continuità i modi di utilizzo. Gli effetti di questa grande trasformazione, che possiamo toccare con mano ogni giorno accendendo il nostro smartphone o sedendoci al nostro computer, possono essere visti a livello aggregato, verificando gli andamenti dell’economia a livello mondiale. Prendendo in considerazione l’andamento del prodotto interno lordo delle grandi aree del mondo, si osserva come fino alla fine del secolo scorso l’economia mondiale era determinata dai paesi più sviluppati; dalla fine degli anni Novanta i paesi emergenti, la Cina, l’India, crescono invece più rapidamente dei paesi sviluppati, delineando una crescita dell’economia mondiale diversa rispetto a quella degli anni precedenti quando i mercati erano essenzialmente interni ai singoli paesi sviluppati.
Questa globalizzazione degli scambi non si è basata solo sulla vendita nei paesi sviluppati di prodotti finiti realizzati nei paesi emergenti in virtù del loro minor costo del lavoro, ma è il risultato soprattutto di una crescita del commercio intra-industriale, cioè dell’intrecciarsi di flussi di esportazioni e importazioni di stessi beni, come le auto o le macchine utensili. In altre parole io vendo le mie auto nel tuo mercato e tu le vendi nel mio; l’apertura dei mercati quindi permetteva, quindi, di operare su mercati più estesi, ma anche di segmentare quegli stessi
mercati, offrendo beni di diversa qualità; quindi non solo prezzo ma anche qualità alla base della nuova concorrenza.
Contestualmente si assiste ad un fenomeno che possiamo chiamare “sviluppo di catene del valore globale”, che significa che le stesse imprese hanno cominciato ad internazionalizzare non solo le loro vendite, ma anche la loro organizzazione produttiva, componendo prodotti finiti, mettendo insieme parti e componenti realizzate nei diversi angoli del mondo, in ragione del minor costo o anche della migliore qualità relativa. In altre parole, viaggiavano non solo i prodotti finiti ma anche le componenti di quegli stessi prodotti.
I dati sull’export di beni fisici mostrano come questa tendenza si modifichi con la grande crisi degli anni 2007-2012. La crisi ha portato con sé una profonda trasformazione dell’organizzazione e delle tecnologie di produzione.
Non viaggiano più solo componenti o prodotti finiti, ma sempre più dati, informazioni, ordini di produzione.
Le statistiche rese disponibii da Ericsson mettono bene in evidenza l’esplosione del traffico di dati, in particolare di quelli inerenti la produzione. La crescita di questi dati operativi permette di interconnettere in tempo reale imprese che operano in paesi diversi, offrendo ai diversi mercati prodotti personalizzati, adeguati alla domanda emergente in quel contesto specifico.
Produrre beni personalizzati, ma in grandi dimensioni diviene il vero carattere fondante della Industria 4.0 e nel contempo offrire sempre più servizi connessi con la produzione, garantendone assistenza, controllo remoto, innovazione in tempo reale, sviluppo di nuovi prodotti; per questa ultima tendenza si usa sempre più un brutto termine inglese che suona come “servitization”, cioè l’incrocio fra servizio e produzione.
Si apre così una fase nuova che chiameremo di DIGITAL GLOBALIZATION, in cui al movimento delle merci fisiche si sovrappone, o meglio diviene sovraordinato un movimento di dati, che rappresentano sempre più spesso il vero valore aggiunto della produzione.
INDUSTRIA 4.0 E RINACIMENTO DELLA MANIFATTURA
Sta emergendo così un rinascimento della manifattura che coincide con una quarta rivoluzione industriale. La digitalizzazione della produzione e dei servizi implica un profondo ripensamento della organizzazione industriale, che porta con sé lo sviluppo di stock e di flussi di dati ad una velocità che cresce esponenzialmente, e che richiede lo sviluppo di competenze che debbono essere formate e fornite alle imprese, ma anche alle istituzioni, con la stessa velocità degli sviluppi tecnologici che la motivano.
Una nuova rivoluzione industriale quindi richiede un ripensamento dell’intera organizzazione di un Paese, per evitare che questa trasformazione segni un nuovo divario fra i territori in cui operano imprese dinamiche e i territori, che rimangono al margine dei processi di globalizzazione.
In questo contesto cambiano anche le infrastrutture di base necessarie per lo sviluppo delle imprese, che vogliono divenire leader di questa nuova rivoluzione industriale. La prima rivoluzione industriale con l’introduzione della macchina a vapore liberava gli opifici dall’obbligo di localizzarsi presso i fiumi, ma richiedeva reti ferroviarie per garantire un flusso continuo di carbone per alimentare con continuità la nuova fabbrica centralizzata e ferrovie per distribuire i prodotti finiti e così facendo generava una infrastruttura che cambiava la stessa vita collettiva.
Nella produzione di massa fordista la produzione di energia elettrica diveniva un bisogno per garantire lo sviluppo di produzione di grande scala e così si generava un’infrastruttura che modificava le stesse città trasformandone la vita.
La nuova industria, basata su una produzione digitalizzata in grado di produrre in continuo beni personalizzati, è centrata sulla generazione ed elaborazione di dati, che richiede nuove infrastrutture per lo sviluppo, che avranno a loro volta un peso sostanziale per sostenere la trasformazione di questa società in cui noi tutti siamo costantemente connessi con tutti.
BIG DATA PER LE NOSTRE IMPRESE
Questo sviluppo della digitalizzazione dei processi e nel contempo delle capacità di super calcolo diventano un elemento cruciale per lo sviluppo dell’industria italiana, proprio perché la nostra industria è composta da una vasta rete di piccole e medie imprese operanti sui mercati internazionali offrendo beni di alta qualità e caratterizzate da uno stile che è riconosciuto come “Stile italiano”. Le imprese italiane si sono affermate ai massimi livelli internazionali partendo da tradizioni di un artigianato, basato su straordinarie competenze e manualità e nel contempo su un altrettanto rilevante capacità di ascolto dei bisogni emergenti dei propri clienti, siano consumatori finali, o altre imprese con le quali disegnare assieme le loro macchine di produzione.
In questo senso “Industria 4.0” è un marchio, introdotto di recente in Germania, per spiegare un modo di produzione che da tempo le nostre imprese più innovative avevano sviluppato.
Big data diviene una grande opportunità proprio per le imprese italiane perché dopo il lungo periodo di un modo di produzione basato sulla standardizzazione dei beni, che
aveva posto al margine le nostre tradizioni di un artigianato di qualità, si è giunti ora ad un modello di produzione che tende ad accoppiare le capacità di personalizzazione proprie della nostra piccola impresa con i grandi volumi, che i mercati globali permettono di realizzare. Ad esempio produrre scarpe di altissima qualità in un mercato chiuso vuol dire restringersi in una nicchia, ma in un mercato globale vuol dire operare in un grande mercato in crescita, che però richiede una rete distributiva controllata direttamente e una organizzazione della produzione tale da garantire che tutta la gamma di prodotti venduta su una così ampia rete abbia la stessa qualità.
Big data per le imprese vuol dire quindi poter gestire una crescente varietà di prodotti personalizzati, non più nel ristretto mercato locale ma sull’intero mercato globale
Un paio di esempi ancora. Per chi produce macchine di produzione – ad esempio macchine per il packaging di prodotti alimentari – big data vuol dire disporre in tempo reale di tutti i dati di funzionamento delle macchine vendute ai quattro angoli della terra, garantendo una manutenzione remota continua, che riduce i rischi di fermate non volute. Per i produttori di beni di consumo – ad esempio un gruppo che dispone di una rete di negozi in cui vende diversi marchi di abbigliamento – vuol dire poter non solo controllare i riassortimenti in tutta la rete di vendita in ragione delle vendite realizzate in ogni momento, ma anche mutare i prezzi di ogni singolo prodotto esposto in ragione delle vendite effettivamente realizzate in quello specifico momento.
In agricoltura del resto big data significa poter disporre dei dati sul clima e le previsioni metereologiche coniugate con lo stato di maturazione dei prodotti, ottimizzandone i tempi di raccolta.
E nei servizi infine vuol dire poter disporre dei dati inerenti alle preferenze dei singoli consumatori, anticipandone i bisogni.
LE NUOVE INFRASTRUTTURE: UN SISTEMA RICCO MA INSUFFICIENTE
Bisogna quindi garantire un’infrastruttura che sappia gestire questa marea crescente di dati, ma soprattutto sia in grado di sviluppare i cosiddetti dataanalytics, cioè la formulazione delle modalità di ordinamento e fruizione di tali dati, per poter giungere ad un loro utilizzo efficiente.
Il nostro paese possiede una rete di centri di raccolta e elaborazione di Big Data significativo. Questa rete è stata creata principalmente ad uso scientifico, ma oggi questa può divenire il motore dell’intera società italiana. Esiste e funziona una rete, chiamata GARR, che unisce tutte le strutture di ricerca fra loro e che costituisce il sistema nervoso dell’intero sistema scientifico nazionale.
Le università italiane condividono un consorzio, il Cineca, nato per gestire dati amministrativi e ora potente macchina di ricerca, che convoglia ormai non solo la maggior parte dei dati del sistema scientifico nazionale, ma anche i dati, le elaborazioni e le proiezioni di alcuni fra i maggiori player nazionali, come l’Eni.
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche possiede una serie notevole di laboratori in cui masse di dati sono già disponibili per grandi linee di utilizzo.
L’Infn – l’istituto nazionale di fisica nucleare, l’istituto nazionale di astrofisica, e gli altri enti pubblici di ricerca costituiscono già i perni di reti internazionali di ricerca e di elaborazione di dati, che necessariamente debbono costituire la piattaforma di una nuova visione dell’economia.
È questo apparato di ricerca, che assieme con le nostre università costituisce la grande infrastruttura necessaria allo sviluppo di una industria pienamente in grado di inserirsi al meglio nella nuova Industrie 4.0.
Tuttavia questo immenso patrimonio non ha sufficiente evidenza nel nostro paese e non gioca quel ruolo propulsivo che un sistema nazionale di ricerca di questa dimensione dovrebbe avere in un paese che deve ritrovare un sentiero di crescita economica e di sviluppo civile proprio nella capacità di posizionarsi sui mercati internazionali con prodotti e servizi di grande qualità ed in grado di rispondere ai bisogni emergenti nella società.
L’esperienza tedesca dimostra come occorrano strutture che agiscano di interfaccia fra sistemi della ricerca ed imprese – in particolare con quelle imprese di piccola e media dimensione che costituiscono l’ossatura portante della nostra economia. In altre parole non ci vuole solo il Max Planck Institut, cioè l’istituto nazionale delle ricerche, ma è necessario avere anche il Fraunhofer Institute, cioè la rete dei centri di diffusione dei risultati della ricerca all’ industria, e con queste istituzioni anche grandi strutture di supercalcolo che agiscano come servizio allo
sviluppo di un sistema industriale che deve crescere in modo equilibrato in tutte le sue componenti.
IL TECNOPOLO DI BOLOGNA E L’HUB EUROPEO BIG DATA
Le reti big data in Italia si incrociano per motivi storici su Bologna, qui vi è la sede del Cineca, snodo di tutte le università italiane, qui vi è la sede del sistema di super calcolo dell’Infn, che fra l’altro serve anche il Cern di Ginevra, qui si incrociano con il nodo Garr anche le attività dei principali centri nazionali di ricerca, tanto che il 70 per cento del flusso dati per la ricerca transita per il nodo di Bologna.
A Bologna giunge anche il data-center della Agenzia europea per le previsioni meteorologiche fino ieri basata a Reading in Gran Bretagna.
L’azione in corso, promossa dalla Regione collocherà questi centri di super calcolo nel tecnopolo nella Manifattura Tabacchi disegnata da Pier Luigi Nervi nel 1952 ed oggi a nuova vita come hub della ricerca incentrata su strutture a servizio del Paese e del sud Europa.
Questo snodo avrà come mandato la ricerca nel settore del cambiamento climatico e dell’ambiente (vi sarà tra l’altro la nuova sede dell’Enea), della produzione industriale (vi sarà il nuovo Competence center Big data for Industry 4.0 del Ministero dello sviluppo), la salute (con il centro di calcolo dell’Istituto ortopedico Rizzoli, centro di ricerca e cura leader a livello europeo).
Il Big Data Technopole di Bologna diviene quindi, in piena continuità con le nostre università, lo snodo di una rete infrastrutturale necessaria per il riposizionamento delle nostre imprese, in particolare delle aziende del NordEst italiano, e dell’intero Paese nel nuovo contesto aperto e competitivo.
Tuttavia i dati sono strumenti, che tuttavia servono solo se si ristabiliscono obiettivi sociali che l’intera comunità possa condividere, senza il timore che proprio il controllo dei dati costituisca la base di nuovi poteri più o meno occulti. Ricostruire obiettivi di sviluppo equo e condiviso e garanzia delle tutele dei nuovi e vecchi diritti dei cittadini diviene quindi la vera necessita per un uso adeguato di dati, che possono essere o il nuovo mare in cui prendere il largo oppure l’abisso in cui naufragare. Ma noi certamente non naufragheremo.
Articolo di: Patrizio Bianchi – Professore ordinario di economia applicata alla università di Ferrara.
Fonte: Fondazione NordEst